Le specialità da forno tipiche di Chioggia

Il pan biscotto e il frisoppo

(il frisoppo è un pan biscotto sbriciolato, per le zuppe)

Venezia città di mare aveva naturalmente la vocazione marinaresca e i veneziani erano fin dagli esordi un popolo di marinai come nelle case in terraferma nelle isole, anche in mare bisognava mangiare e occorrevano sufficienti scorte alimentari fra cui il pane. Ma con il salso e l’acqua che entrava anche nelle cambuse non solo quando infierivano le tempeste, il pane deperiva velocemente. Fu per questo che provando e riprovando i pistori dell’arsenale di Venezia in genere di origine germanica o carnica scoprirono il modo di produrre un pane che si conservava lungamente anche per molti anni molto più che a lungo dell’antico Buccellato rimanendo sempre perfettamente buono. Era questo il pan biscotto la cui ricetta elaborata e affinata dai pistori dell’arsenale venne tenuta segreta anche per non avere concorrenza all’estero e per poter vendere questo pane straordinario alle marinerie degli altri Stati.

Il pan biscotto era una specie di galletta secca quindi priva di acqua ed era di eccezionale qualità poiché non si guastava né alterandosi né ammuffendo né venendo intaccata dal tarlo.

I veneziani nel realizzare il pan biscotto si erano chiaramente rifatti ad altri pani tipo galletta: al pane dei romani, al pane Buccellato dei soldati, al Panis naufrago. In verità il pane secco era conosciuto fin dai tempi più antichi, ma a Venezia ebbe un ruolo fondamentale, non solo alimentare ma anche politico ed economico, poiché la Repubblica riforniva, oltre alle proprie navi e alle proprie truppe di terra, anche quelle di altri Stati che arrivavano in laguna; per questo motivo la sua produzione e la sua vendita in distribuzione fu regolamentata fin dall’inizio da norme molto stringenti.

Preparazione del Pan biscotto:

Una volta preparato l’impasto veniva spianato con un ceppo il cui mezzo è alquanto più grosso che non solo gli orli che rende la focaccia un poco concava poi poteva essere incisa a forma di croce con il crociato o pettine. Lasciata riposare una mezz’ora veniva punzecchiata con un ferro a tre punte detto bruschetta quindi messa a cuocere in forno. i forni usati per produrre il pan biscotto erano simili a quelli per la cottura del pane comune una volta ben riscaldati venivano tolte le braci e ripuliti accuratamente quindi si infornavano le focacce ponendole vicine tra loro poi si chiudeva la bocca del forno cui si appoggiavano delle braci per tenerla ben calda. Dopo una quindicina di minuti le focacce iniziavano a prendere colore quindi si apriva il forno lasciando le focacce all’interno per altri 15 minuti passato questo tempo il forno veniva richiuso e le focacce cuocevano altri 15 minuti. Scrive il Griselini che “dopo questa cottura la focaccia doveva essere posta in stufe fatte riscaldare per quattro giorni: le stufe sono luoghi fatti sopra i forni. La permanenza nelle stufe durava un intero mese in modo che le focacce si asciugassero bene”. E se non ci fossero state stufe a sufficienza il Griselini aggiunge: “si mettono all’aria in un granaio in cui si ha l’accortezza di chiudere le finestre nei tempi umidi”.

Tramandando in modo segreto da padre in figlio dai pistori dell’arsenale la ricetta del pan biscotto della quale abbiamo riportate alcune indicazioni di massima non venne mai conosciute nei suoi precisi dettagli dagli estranei e che alla caduta della Repubblica nel 1797 il prezioso segreto andò perduto con l’improvvisa scomparsa dell’ultimo pistore e non ci fu modo per quanto si cercasse di ritrovare l’antica ricetta.

Il Pan biscotto – ha scritto Giuseppe Maffioli – era la prima voce nelle liste delle necessità da stivare nelle navi da inviare ai possedimenti sparsi per il Mediterraneo, da fornire agli eserciti di terra e ai cantieri mercenari al servizio della Serenissima.

La storia dei “pistori”

L’arte di coloro che oggi genericamente chiamiamo fornai, a Venezia si articolava un tempo in due colonnelli (rami di attività) ben distinti: da una parte i pistori (che cucinavano il pane senza poterlo vendere) e dall’altra invece i forneri (ossia i fornai) detti anche pancogoli o panicuocoli (ovvero cuocitori di pane). Un apposito ufficio pubblico, detto ad bullam panis, era preposto a far rispettare le leggi della Repubblica sulla cottura, il peso e il prezzo di vendita del pane. Questo poteva essere albus, di tota farina, oppure traverso (al setaccio); una qualità particolarmente prelibata di pane era il bianco buffetto, di puro fior di farina a volte con l’aggiunta di burro e zucchero cui solo sei pistorie in tutta la città erano autorizzate a prepararlo. I pistori avevano inoltre l’obbligo di fornire il quantitativo previsto di “pan biscotto” al Governo non oltre tre mesi dal ricevimento del frumento. In esenzione a quanto previsto, i cereali potevano essere trasportati ai mulini per la macina direttamente dai pistori stessi, con barche di loro proprietà senza l’ausilio dell’Arte dei barcaroli.

Oltre ai molti forni sparsi per la città, Venezia aveva anche due grandi panaterie, una a San Marco, con 19 botteghe, e una a Rialto, con 25 botteghe. La mariegola dei pistori ha inizio nel 1334, con un dettagliato elenco che richiama i giorni di festa nei quali era assolutamente proibito lavorare. Leggi tutto qui: Schola de la Concezion dei Pistori http://www.veneziamuseo.it/TERRA/San_Marco/Samuel/sam_sp_pistori.htm

Il Pane scafato.

Accanto a questo pane specie nelle case contadine era diffuso un altro prodotto biscottato: il pane scafato. La lavorazione era molto simile ma la forma ricordava quella di una foglia l’origine del nome deriva dallo scaffale dove era conservato insieme alle granaglie e alle farine.

Bussolà o bussolà

(stesso nome per due prodotti tipici diversi)

La loro storia ricalca in parte quella del pan biscotto, nascono per rispondere alla stessa necessità: durare molti giorni conservati nelle estive delle navi in partenza dalla Serenissima. Attualmente con lo stesso nome si indica un dolce tipico dell’isola di Burano che trae origine proprio dai Bussolà, interpretando il lato dolce della ricetta. Parlare di Bussolà e anche ricordare la loro preparazione più tipica: sbriciolati per preparare il friso, la zuppa dei soldati veneziani. Gli ingredienti di questo pane sono farina di frumento, olio extravergine di oliva, strutto, malto, lievito e sale che vengono impastati, tirati a mano e modellati nella classica forma a cerchio o ovale. Per la sua produzione ormai molto ridotta e celebre la piccola località di San Pietro in volta in provincia di Venezia anche se esemplari molto simili si possono trovare nei ristoranti della zona di Chioggia.

Ingredienti: farina, olio, strutto, lievito e acqua.

Pan Conso

Dolce da ricorrenza tipico di Sottomarina. Era tradizione prepararlo nella settimana antecedente la Pasqua, è un dolce povero che affonda le sue radici nella civiltà contadina ma ricco di valori e significati religiosi. La sua preparazione coinvolgeva l’intera famiglia, in ogni casa si preparava la “Pasta Madre“ che veniva gelosamente accudita e rinfrescata sino ai successivi impasti, per farne poi le più svariate forme. Il tutto veniva poi portato al forno più vicino per la cottura finale. Le calli e i forni sia animavano di un festoso viavai di ragazzini gioiosi che accompagnavano le loro mamme e un profumo dolce e inebriante si espandeva nell’aria. Varie erano le forme: bambole per le bambine, galli per i maschietti e poi le bisse, gropi, seleghette, cagae ed dresse, taccuini, boboli…

Ingredienti: farina di tipo “0”, lievito madre, zucchero, uova, burro, bucce di limone o arancia grattugiate.a

Bissiole

Pane dolce e croccante a forma di S va gustato inzuppato con vino bianco dolce. Ingredienti fiore burro, uova, zucchero e qualche goccia di rosolio.

Papini

Ciambelle dolci di pasta dura che vengono cucinate nel periodo pasquale. Ingredienti: farina, uova, zucchero, burro, vaniglia.

Mantovane

Pane a pasta dura originario di Mantova e come tutti i pani tipici delle località confinanti con la Serenissima anche questo è entrato molto presto in area veneta ed è ancor di più dopo il 1815 quando Veneto e Lombardia formavano un unico territorio dipendente dalla corona d’Austria. Varcato il confine ed entrato nella Repubblica di San Marco ha subito qualche modifica rispetto alle origini. Ancora oggi è un pane molto diffusa nel Veneto. Nel territorio veneziano è realizzato come segue.
Ingredienti: 1 kg di biga, cui si aggiungono 300 g di farina, 120 g di acqua, 10 g di strutto, 20 g di lievito e 20 g di sale sale.

Banana o Arrotolato

Di probabile origine lombarda ma presente in area veneziana da secoli con un impasto che risulta comunque diverso da quello lombardo. Ingredienti: Si prepara con 1.100 g di pasta di riporto, 200 g di farina, 100 g di acqua, 90 g di strutto, 20 g di lievito, 20 g di miele, 4 g di sale.

Ciabatta

Diffusa ancora oggi forse più della michetta e soprattutto espatriata oltre i confini regionali, la ciabatta è un pane che ancora oggi si può trovare in tutti i panifici del Nord Italia. Morbido e soffice può essere annoverato tra i pani soffiati, ovvero privi di mollica,  pare che questa tipologia sia stata importata dagli austriaci fin da Settecento.

Ingredienti e procedimento: viene prodotta con la biga, ottenuta da farina lievito ed acqua al 55% che darà consistenza molle all’impasto. Quest’ultimo viene lasciato riposare 18-20 ore per poi essere messo nell’impastatrice dove verrà aggiunto sale e ulteriore acqua. L’impasto così ottenuto sarà poi suddiviso in parti rettangolari sagomate manualmente fino a ottenere la classica forma schiacciata e allungata importante per avere la giusta consistenza dopo la cottura. Ne risulterà un bel pane croccante leggero ottimo da utilizzare anche farcito.

Il pan del Toni o Panettone:

una storia nella storia

Non è possibile parlare di pane qui a Nord (ma ormai non solo a Nord) senza citare il panettone che fin dal nome evoca il più semplice degli alimenti arricchito però da golosità come miele e frutta secca. Proprio così doveva essere in età medievale il panettone che secondo diversa testimonianze era già diffuso dal Duecento. In quest’epoca si trattava più semplicemente di un pan grande realizzata quasi esclusivamente con la sola farina di frumento, venne a poco a poco nel corso del tempo arricchito degli altri preziosi ingredienti.

Leggende sulla nascita del Panettone.

La leggenda lega la nascita del panettone ad un errore di cucina alla corte di Ludovico Sforza: qui fu un garzone, tale Toni, a lasciare nel forno troppo a lungo il pane dolce preparato con l’uvetta che si scuri proprio sulla cupola indurendola. il dolce trovò comunque l’apprezzamento dei commensali che lo fecero passare alla storia come pan del Toni. La storia moderna del panettone comincia invece a Milano agli inizi del Novecento, quando in alcuni laboratori – come quello di Angelo Motta – furono canonizzati la forma a cilindro con cupola e anche quattro sporgenze per evocare le guglie del Duomo e l’utilizzo del vassoio di carta da forno che ancora oggi lo caratterizzano.

Zaletti

Sono biscotti tipici della tradizione veneta, particolarmente diffusi nella zona di Venezia e Verona. Preparati con farina di mais giallo, uvetta e talvolta pinoli prendono il loro nome dal termine veneziano “Zalo” che significa giallo in riferimento al colore del mais. Sono considerati una prelibatezza tradizionale, rappresentano un elemento significativo della cultura culinaria veneta.

Originariamente fatti in casa i Zaletti riflettono le radici storiche della regione e sono apprezzati per il loro sapore unico e la connessione con le antiche tradizioni culinarie.

Ossi da mordere

Gli “ossi da mordere” sono un tipo di biscotto tradizionale italiano. Il nome è piuttosto descrittivo: questi dolcetti hanno la forma di ossicini e sono intesi per essere particolarmente duri e croccanti al morso. Sono tipici di varie regioni italiane, con alcune variazioni regionali nella ricetta. Gli ingredienti base di solito includono farina, zucchero, uova e mandorle intere o a pezzetti. In alcune varianti possono essere aggiunte spezie come la cannella o l’aroma di vaniglia per arricchire il sapore. Sebbene li si possa trovare in qualsiasi periodo dell’anno, spesso sono associati alle festività, in particolare alla celebrazione di Ognissanti e del Giorno dei Morti, quando la tradizione italiana vede queste “ossa” come simbolo e offerta. Gli “ossi da mordere” sono conservabili per lungo tempo a patto di essere mantenuti in un contenitore ermetico, grazie alla loro consistenza secca che non tende a rammollire facilmente. Sono perfetti da assaporare con un caffè o un vin santo, il cui tannino e dolcezza si equilibrano bene con la durezza del biscotto.

Smegiassa, Berolini e Ciosota

La “smegiassa”

focaccia a base di miele nero, farina, zucca, uva, pinoli e zucchero che è il tipico dolce delle feste natalizie.

i “Berolini”

fatti con farina, melassa e anice, con le forme degli oggetti più svariati che erano un tempo i dolci della Befana.

la “Ciosota

Di recente si è affermata la “Ciosota” la torta a base di carote e radicchio di Chioggia, che vanta il marchio Igp.

La storia di Chioggia

La leggenda delle origini di Chioggia narra che fu fondata da Clodio esule troiano il quale scelse come stemma un Leone rampante a ricordo di Troia. Il nome Clodia poi cambiò nei secoli in Cluza, Clugia e quindi Chiozza per arrivare infine all’attuale toponimo Chioggia. In epoca romana faceva parte di una più estesa centuriazione che comprendeva l’intera area della laguna di Venezia. Nel medioevo la città ebbe una propria autonomia comunale e, diventata nota per il florido commercio del sale nel 1110, divenne anche sede episcopale.

Una pagina importante della storia della città avvenne durante la guerra di Chioggia rievocata nel Palio della Marciliana: nel 1379 la città cadde in mano a Genova attirata dalla fonte di ricchezza che rappresentavano le saline per poi essere conquistata dall’intervento veneziano nel 1380. Durante la Guerra di Chioggia, i genovesi distrussero Sottomarina, la cui città ormai quasi disabitata veniva continuamente inondata dalle maree. Nel 1600 circa la Serenissima iniziò la costruzione di una barriera a difesa della sottile terra emersa, i Murazzi. L’imponente struttura, lunga 5 chilometri e larga circa 300 metri , fu costruita in trentotto anni con un enorme dispendio di fondi per utilizzo di pietre d’ Istria.

I Murazzi sono divisi in tre parti: una, sull’isola del Lido, inizia a Ca’ Bianca e finisce dopo circa 5 km in prossimità degli Alberoni; una seconda, sull’isola di Pellestrina, inizia a Santa Maria del Mare e termina dopo 10 km nei pressi di Ca’ Roman; una terza, nel litorale di Sottomarina, inizia dal Forte San Felice e finisce, dopo circa 1255 metri, al centro di Sottomarina Vecchia. A Sottomarina quest’ultimo murazzo un tempo continuava per altri 570 metri ed era costituito di argini e muri, ma ora è completamente demolito e ne è parziale testimonianza un marciapiede marmoreo. Nella zona fra Pellestrina e Ca’ Roman, il mare Adriatico e la laguna di Venezia sono separati praticamente solo da questa diga. Sotto il dominio della Serenissima, Chioggia non solo vide limitata la propria libertà ma vide anche ridursi il numero delle saline oltre all’imposizione di pesanti tasse sulla produzione di sale. L’economia così ebbe un inesorabile declino che rifiorì con lo sviluppo della pesca.

Chioggia fece parte della Repubblica di Venezia fino al 1797 anno in cui cadde in mano alle truppe di Napoleone Bonaparte. In seguito al trattato di Campoformio nel 1798 la città passò in mano all’Austria a cui rimase fino al 1866 Anno in cui Chioggia venne annessa al nascente Stato Italiano. Durante la seconda guerra mondiale rischiò il bombardamento a tappeto da parte dell’aviazione alleata: solo grazie alla rivolta dei cittadini i nazifascisti si arresero e il 27 aprile 1945 la città venne liberata dalle forze alleate.

Artigianato di Chioggia

Cosa possiamo trovare di artigianato tradizionale a Chioggia?

Le “tolele”, piccole tavolette di legno dipinte che raccontano con un linguaggio spontaneo i miracoli e le grazie ricevute dai fedeli, che in questo modo volevano esprimere la loro gratitudine per la grazia ricevuta.

I “capitei”, altra espressione d’arte religiosa popolare, piccole edicole religiose legate alla venerazione mariana. Il “penelo” un originale e pittoresco segmento che si collocava in cima all’albero del Bragozzo, l’imbarcazione a fondo piatto divenuta il simbolo della marineria: le riproduzioni del bragozzo in forma di modellini costituiscono un souvenir ancora molto richiesto. Le pipe chioggiotte, costruite in terracotta con la canna in legno di Marasca o Sanguinella. Il camino in terracotta grezza era forgiata con le figure più varie, è diventata uno degli oggetti di souvenir più tipici del luogo.

La gastronomia di Chioggia

La gastronomia di mare chioggiotta è nota e apprezzate in tutto il mondo in quanto varia e suggestiva, basata su pesce e verdure locali.

Per fare qualche esempio si va dalle “Bibarasse in cassopipa” (vongole con soffritto di cipolle o di aglio) alle capesante al forno (ottime con aggiunta di cognac) dalle nobili “Granseole” (polpa di granchio) alle popolari “Sardele in saore” (con cipolla ed altri elementi ma il sistema di preparazione viene utilizzato anche per altro pesce come le sogliole) o saporiti “Buoboli da Vida” (lumachine condite). E ancora dal “Broeto” (zuppa con trance di pesce e molluschi da servire con crostini) ai tanti tipi di spaghetti, le bibarasse o alla pescatora che diventano bigoli in salsa quando sono all’olio con filetti di acciughe conservati sotto sale. O i risotti di pesce, alla pescatora o alla “ciosota”, “de sepe” (seppie) ma anche di radicchio o di zucca.

Per i secondi i due grandi settori del pesce di stagione alla griglia o in frittura trovano sapori nobili nel “Bisato” (anguilla, in tecia al pomodoro o ai ferri) o nelle “Moleche frite” (granchi in muta fritti in abbondante olio). Gustosi e insuperabili anche piatti più semplici come “sfogi” (sogliole) “barboni” (triglie) “Risi e vuovi” (uova di seppie bollite condite con olio aceto e spezie) “sepe con polenta” (seppie da fare in umido con pomodoro e spezie o nere con soffritto di cipolle e aglio, con un po’ del loro nero e aggiunta di vino bianco). Dai prodotti semplici ogni cuoco riserva poi qualche integrazione a sorpresa a partire dalla tradizione del “pesse rosoto incovercià” (pesce alla brace e riscaldato in un tegame coperto con olio aceto vino e aglio).

Per i contorni la fa da padrone il radicchio “la rosa di Chioggia” coltivato praticamente in tutti i periodi dell’anno consumato ad insalata, ai ferri, fritto in cotolette, ma anche con risotto o lasagne, la “suca baruca” (zucca marina di Chioggia) le particolari cipolle, patate, carciofi degli orti di Sottomarina.

2024 © La Forneria s.n.c. di Mazzucco Andrea e Mazzucco Stefano Via San Marco, 570 30015 Sottomarina di Chioggia (VE) Tel: 041 400735 – E-mail: info@murazzi.net CF/PI 04696280272 Privacy - Cookie Policy